La morte di Dio e i cieli della finanza.

Il titolo di quest’articolo potrebbe sembrare strano, eccentrico: cosa c’entra la morte di Dio con la finanza? Semplice: il capitalismo, e in particolare il capitalismo finanziario, è uno degli idoli che gli uomini, anziché accettare fino in fondo la loro finitezza, hanno sostituito a Dio e ai valori tradizionali; uno dei principali aspetti di quella che io chiamo immanentizzazione della trascendenza. Vediamo perché.

Il ciclo economico capitalista, come ha ben evidenziato Marx, è sintetizzato dalla formula D-M-D’ (denaro-merce-più denaro). D rappresenta il capitale iniziale, che viene investito in una qualsiasi impresa economica; M rappresenta la merce che viene prodotta grazie all’investimento e D’ rappresenta il capitale finale che, teoricamente, affinché l’economia capitalista possa perpetuarsi, deve essere maggiore rispetto al capitale iniziale, dal momento che il motivo per cui il capitalista decide di investire i suoi soldi è appunto la speranza di ottenere un guadagno.

Cosa c’entra tutto ciò con la morte di Dio? Non è tutto dannatamente normale e “ovvio”?

Non è ovvio che chi investe il proprio denaro lo faccia in vista di un guadagno? Chi spenderebbe dei soldi per andare in pareggio o in perdita? Non è ovvio che le persone vogliano migliorare le proprie condizioni di vita?

Certo. Ma la formula del capitalismo, se analizzata un po’ più in profondità, ci può far giungere a delle conclusioni interessanti.

Innanzitutto è evidente che se il capitalismo è riassumibile nella suddetta formula, il fulcro del sistema economico non è rappresentato dalla merce, ma dal capitale.

Anche questo sembrerebbe ovvio, ma ciò significa che, all’interno dell’economia capitalista, la merce (i beni e i servizi) è solo un mezzo per produrre un capitale sempre maggiore.

Non sempre è stato così: prima dell’avvento del capitalismo il fine dell’economia (riassumibile nella formula M-D-M) era la produzione della merce, e il denaro rappresentava fondamentalmente il mezzo tramite il quale le merci potevano essere scambiate e distribuite.

Ma se il fine è il denaro e la merce è solo un mezzo, allora significa che ciò che conta non sono le caratteristiche qualitative dei beni e dei servizi, il loro valore d’uso (cioè quello che si può fare con essi, le esigenze cui rispondono) ma il loro valore di scambio, cioè il loro prezzo.

In un’ottica capitalista sono indifferenti le caratteristiche qualitative di ciò che si produce (produrre armi o cibo è esattamente la stessa cosa), ciò che importa è che, tramite ciò che si produce, si riesca ad accrescere il capitale iniziale.

Anche questo potrebbe sembrare abbastanza “normale”, ma andiamo ancora un po’ avanti con l’analisi.

Dalla crisi dei mutui subprime del 2007-2008 sono stati scritti centinaia di migliaia di articoli, di post, di servizi televisivi che se la prendono con le banche e la finanza. Prendersela con i “mercati finanziari”, la “finanza globale”, etc. è anzi diventato un luogo comune e il “pensiero unico” della globalizzazione finanziaria viene ormai accusato di tutto, senza però che si sia penetrati più a fondo nelle logiche del suo funzionamento.

E’ fuor di dubbio che, da almeno trent’anni a questa parte, si sia verificato un progressivo processo di finanziarizzazione dell’economia: i profitti delle grandi banche e delle multinazionali dipendono sempre più, percentualmente, dalla compravendita di azioni, obbligazioni e altri prodotti finanziari.

Non si tratta di un caso, ma dell’esito logico delle premesse che abbiamo visto prima: se la merce è solo un mezzo per produrre denaro, e ciò che si produce è indifferente, allora l’ideale diventa quello di eliminare totalmente la produzione delle merci e di produrre denaro direttamente dal denaro. Lo sviluppo della finanza non è che il tentativo di realizzare il più possibile questo ideale irrealizzabile, grazie agli strumenti della finanza “creativa”, che hanno prodotto l’ultima crisi.

Ora diventa chiaro il legame tra trionfo del capitalismo finanziario e morte di Dio: l’uomo moderno e contemporaneo, dall’illuminismo in poi, ha “ucciso” Dio e gli antichi valori, ma la domanda di Assoluto e di Totalità che lo abita non si è estinta.

Non credendo più in Dio e nell’aldilà, distrutti dal progresso scientifico-tecnologico, e nemmeno negli ideali degli illuministi, distrutti dai due conflitti mondiali, l’uomo contemporaneo non sa fare di meglio che cercare Dio nelle cose e nel denaro.

Eliminati l’Assoluto, la Totalità e l’Eterno, l’uomo ha trovato un surrogato di essi nel dogma della crescita infinita, e nei cieli della finanza, che ha totalmente dematerializzato la merce, riducendola a scritture contabili continuamente comprate e vendute da milioni di computers, l’iperuranio in cui inseguire il sogno della propria divinizzazione.

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