Terrorismo e postmodernità.

Pochi giorni dopo la barbara strage compiuta dai terroristi islamici durante l’assalto a Charlie Hebdo, sono rimasto molto colpito da un’intervista, trasmessa da Rainews24, che lo scrittore Fulvio Abbate aveva fatto, qualche tempo prima, ad uno dei vignettisti uccisi, George Wolinsky.

All’inizio di questo breve filmato, Abbate poneva a Wolinsky una di quelle domande impossibili che si fanno solamente ai grandi intellettuali: “Ti voglio chiedere solo una cosa…qual è il futuro dell’umanità?”. Dopo aver fatto una comprensibile smorfia (come a dire: “Che ne so io?”) e aver iniziato con un generico e banale discorso sul progresso, il vignettista ha detto tre frasi che mi sono rimaste impresse; tre frasi che ribadivano lo stesso concetto e che, evidentemente, rappresentavano il suo vero pensiero, la sua convinzione più profonda: “Io so qual è il mio futuro, il mio futuro è morire”, “E’ necessario anche dire all’umanità che un giorno morirà” e infine, proprio a conclusione dell’intervista, un lapidario: “Il futuro è la morte”.

Strage Charlie Hebdo, intervista a Wolinski di Fulvio Abbate

Subito dopo aver sentito queste parole mi sono chiesto: “E se uno dei fattori scatenanti del terrorismo islamico fosse questo radicale nichilismo?”

Cosa abbiamo da offrire noi, oggi, alle migliaia di persone che approdano ogni anno in Europa? Che cosa può dare la cultura occidentale ai figli e ai nipoti di quegli immigrati, spesso musulmani, che vivono da noi ormai da decenni e sembrano perfettamente integrati?

Dopo ogni attacco terroristico i nostri leaders politici si producono in altisonanti discorsi di circostanza, affermando che l’obiettivo dei terroristi sono i nostri valori, le nostre libertà e che, ovviamente, noi non ci faremo impaurire e alla fine raggiungeremo l’immancabile vittoria.

Dopo aver ascoltato l’intervista a Wolinsky ho capito perché nessuno di quei discorsi mi ha mai convinto, perché quelle parole mi sono sempre sembrate vuote.

Quali sono le fondamenta della nostra cultura? Quali i valori e gli ideali che possiamo proporre a chi viene da culture diverse?

Cosa è rimasto delle tre parole d’ordine della Rivoluzione francese?

La liberté che abbiamo concretamente realizzato è la libertà di fare e di essere ciò si vuole, riservata però solo agli individui che hanno i soldi necessari per permetterselo; l’egalité è unicamente l’uguaglianza formale nei diritti, cui corrispondono differenze sostanziali che arrivano spesso fino al punto di negarli; la fraternité semplicemente non esiste, se non all’interno delle ristrette e sempre più “liquide” mura della famiglia o del gruppo di amici.

Agli ideali dell’illuminismo abbiamo sostituito un progresso materiale che è senz’altro positivo, ma che non può, da solo, costituire il fulcro della società e l’orizzonte di senso delle vite individuali.

Degli “inalienabili diritti” delle dichiarazioni settecentesche, l’unico a godere di buona salute e ad innervare i nostri pensieri e le nostre azioni è la “ricerca della felicità”; una felicità, però, sempre più terrena e immanente all’individuo ed al suo ristretto ed incerto orizzonte temporale. Una felicità “usa e getta”, da raggiungere “qui ed ora”, ma che, per quanto ci affanniamo a renderla presente, rimane sempre relegata in un tempo tanto più disperatamente futuro quanto più ci appare prossimo: “…solo ad una lacrima da qui”.

Si può costruire una società civile, multietnica e multiculturale, su una felicità del genere? Si possono integrare le persone sul nulla?

E’ stato giustamente detto che il fondamentalismo islamico dell’ISIS è un’ideologia di morte, ma intanto fornisce a centinaia e centinaia di persone sradicate, disorientate e disperate un motivo per vivere e per morire (oltre che, purtroppo, per uccidere degli innocenti); fornisce, sicuramente in modo distorto e inaccettabile, un orizzonte di senso: qualcosa di più grande, rispetto alla propria vita individuale, per cui combattere.

Quello che, per gli uomini del medioevo, era la “salvezza dell’anima” e, per gli illuministi, gli ideali condensati nel motto della Rivoluzione francese.

E noi, oggi, cosa abbiamo da offrire?

 

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